Alcuni mesi fa su questo blog abbiamo incontrato la scrittrice Caterina Emili, giornalista e giallista che è riuscita a fondere in maniera ammirabile la sua passione professionale per la cronaca nera con una penna rara da romanziera. Caterina è nata a Roma, si è laureata a Milano, ha percorso una carriera da giornalista per quotidiani nazionali come inviata speciale e poi conduttrice di trasmissioni radiofoniche, ma adesso ha scelto di vivere in un altro modo: tra l’Umbria e la Puglia, lavorando ai suoi romanzi. Ne ha pubblicati una mezza dozzina e continua, uno dopo l’altro, a raccontare storie forti, per molti versi uniche.
L’ultimo romanzo, I polimeri di Olimpia, è una storia particolare che, dopo averla letta (ma si potrebbe dire “divorata”) si fa fatica a scrollarsela di dosso. È tersa, a tratti sembra quasi priva di sentimenti per via di una scrittura tanto asciutta quanto potente ed evocativa, capace di travolgere con una vita che viene solo mostrata e mai spiegata. C’è il distacco di Olimpia dal dolore e dal piacere della vita, la morte pensata e praticata ma anche incontrata e poi cercata. E una forma di autismo leggero, difensivo e non certo genetico, che impregna tutto il corpo e la mente di Olimpia, reduce di se stessa e della sua stessa vita. Finché dura.
Ma basta spoiler mascherati: anche questo romanzo di Caterina Emili ci ha sorpresi e toccati. Per questo siamo andati a cercarla e a chiederle un po’ di cose.
Cosa volevi dire in realtà raccontando questa storia?
Sono attratta, come al solito, da personaggi cosiddetti negativi. In questo caso è un’assassina. Il suo primo delitto a nove anni e l’ultimo a cinquanta. Eppure è placida, credibile nelle sue giustificazioni, non suscita nel lettore alcun sentimento di riprovazione. Anzi, è capace di sviluppare una certa simpatia. Amo molto Olimpia, mi sarebbe piaciuto essere come lei, per molti versi mi assomiglia. Per questo che l’ho resa fisicamente assai diversa da me. Da piccola ero una bambina magra magra, una piuma. Olimpia, invece, è massiccia, forte, mascolina. Però ero cattiva come lei. Per fortuna non ho mai ammazzato nessuno, anche se devo ammettere che qualche idea in proposito ce l’ho avuta.
I tuoi romanzi escono per editori importanti ma questa volta hai scelto il self publishing come mai?
Non è proprio un self publishing. Indies g&a è una piattaforma creata da un grande studio milanese di agenti letterari. Una sorta di vetrina di lusso alla quale si accede dopo un certo vaglio. E sovente sono proprio gli autori rappresentati da questo studio, come nel mio caso, che ne approfittano. Perché? Direi per fretta, perché spesso i tempi delle case editrici sono lunghi e anche perché è divertente e redditizio. Nulla vieta poi a un editore di acquistare il libro se gli piace. Quando anni fa pubblicai su questa piattaforma “L’innocenza di Tommasina” stette nella top per molte settimane e per alcune fu primo assoluto. E infatti E/O se lo comprò e lo ripubblicò.
Com’è stato il lockdown per te scrittrice? È vero che si scrive di più?
Magari fosse così! Forse lavori meglio e non ti avvedi delle restrizioni se sei già immerso in un progetto. Forse. Per me, comunque non è così, ho bisogno di camminare, di parlare con chi mi possa spiegare passaggi a me poco noti. Mi piace andare a pranzo con il mio anatomopatologo preferito e farmi raccontare come si muore con la stricnina. Mi piace aggirarmi negli scenari che poi descriverò e annusare aria, terra, puzze e profumi.
Come alimenti le tue storie? Cosa stai leggendo in questo periodo?
Cronaca nera. Questa è la mia linfa. E poi leggo per divertimento. E leggo manuali di ogni tipo, oppure saggi di economia (che in fondo sono la stessa cosa). Leggo pochissimi romanzi perché vengo presa da moti di invida irrefrenabili di fronte i capolavori. E quindi, visto anche la quantità enorme di romanzi che ho letto durante la mia vita, adesso mi astengo.
A proposito di storie degli altri: il tuo prossimo romanzo?
È la storia di un finto santo. La costruzione di una truffa incredibile. Ovviamente sempre con assassinii e colpevoli. Ma questo, si sa, è la cosa che so descrivere meglio.