Ritratti: Matteo Stefanelli

La domanda è semplice: i fumetti sono dei libri a tutti gli effetti? Cioè, la letteratura, le grandi narrazioni, i saggi, la poesia: passa tutto solo dalla pagina stampata o c’è spazio anche per il disegno?

Ho deciso di chiederlo a Matteo Stefanelli, uno dei principali esperti di fumetto e illustrazione in Italia, che insegna Linguaggi audiovisivi all’Università Cattolica di Milano e Histoire de la bande dessinée italienne e Théories de la bande dessinée all’Ecole Européenne Supérieure de l’image di Angoulême. Stefanelli è inoltre il fondatore di Fumettologica, il principale sito di informazione in Italia sui comics, e da quest’anno direttore artistico del festival Comicon, uno dei maggiori eventi crossmediali europei, sempre molto legato proprio al fumetto.

Matteo, lo so che non è una domanda semplice, ma tra libri e fumetti che tipo di confine esiste, ammesso che ne esista uno? 

Nessuno in termini tecnici: sono storie, e si stampano. Nei contenuti pure cambia poco, se non fosse che nel fumetto, soprattutto in passato, è stato spinto molto il pedale verso l’immaginazione e la fantasia più che verso il realismo documentaristico: meno Roma città aperta e più Gotham City, per capirci. D’altra parte la presenza di disegni, oltre alle parole, porta giocoforza con sé una scarsa oggettività. Vale anche quando quel che abbiamo davanti sono i paesaggi più “naturalistici”; pensate solo al Far West disegnato da Moebius in Blueberry o da Giovanni Ticci in Tex, così come al mare in Corto Maltese: sono panorami naturali o forme astratte? 

La differenza tra libri e fumetti sta solo nell’uso dell’immagine disegnata – con tecniche tradizionali o digitali – che è più intenso e complicato rispetto ai cosiddetti “libri illustrati” (per ragazzi o meno). Nei romanzi o albi illustrati e nei picture books i disegni sono singole immagini collocate su una o due pagine, e aiutano il testo scritto “una alla volta”; nel fumetto invece si muovono “in branco”, e a volte fanno anche a meno del testo: sono insiemi di disegni giustapposti, che possono peraltro variare molto nella loro composizione, forma e senso di lettura, anche di pagina in pagina. Se la pagina di un romanzo o di un saggio è un gruppo ordinato di linee e punti, anche il più semplice dei fumetti si presenta come un piccolo caleidoscopio di segni, e richiede allo sguardo di essere letto in direzioni a volte non lineari. Le radici dell’antico snobismo da parte dei ‘letterati’ vengono da qui, da questa irriducibile non-letterarietà dei fumetti; così come da qui vengono i pur legittimi problemi da parte di lettori adulti che parlano di “fatica” nella lettura di queste pagine tanto composite e, a volte, ‘caotiche’.

Oggi tutti i grandi editori generalisti italiani, da Mondadori-Rizzoli a Feltrinelli, con tutto quel che c’è in mezzo, hanno ricche collane di fumetti. Cosa sta succedendo?

Succede che nelle librerie di mezzo mondo il fumetto è diventato uno dei pochi settori in crescita, dunque in controtendenza rispetto al declino dell’editoria cartacea. Con un po’ di ritardo, se ne sono accorti anche i tradizionali editori letterari italiani, che hanno finalmente messo a fuoco una propria strategia fumettistica: Feltrinelli Comics punta all’attualità, Oscar Ink (Mondadori) ai classici di catalogo, il Castoro (con Tunué) ai ragazzi, Nave di Teseo (con Oblomov) alla ricerca autoriale… Il trend rimane positivo, e accanto alle ovvie formule commerciali – fumetti ispirati da influencer, biografie di figure storiche, diari di viaggio più o meno esotici – questa effervescenza sta motivando vari editori a investire in produzioni originali o nello scouting di tante pepite mai tradotte prima. Il risultato è un’offerta di fumetti variegata e internazionale come non era mai accaduto in passato – nel 2018 si sono pubblicati quasi 6000 fumetti in Italia, un record. E tra le opere di autori italiani c’è ormai spazio per gusti e pubblici di ogni tipo, dalla fiction apocalittica d’autore (La terra dei figli di Gipi) al fumetto-testimonianza comico sui migranti (Storiemigranti di Nicola Bernardi e Sio).  

Se l’edicola va in crisi e il sistema distributivo dei giornali si avvia a un possibile collasso, quali ripercussioni ci potrebbero essere nel mondo del fumetto?

Conseguenze profonde, ma a collassare saranno alcune formule editoriali, non tutto il campo. Il prodotto da edicola, piccino e low cost, sta diventando sempre meno diffuso, persino in Giappone, dove i manga si vendono sempre meno in edicola e sempre più in libreria oppure online. Proprio il disegno, però, si è rivelato una forza straordinaria per la prosperità di questo settore anche nei nostri tempi di crisi: la manualità del colpo di pennello o pennino su un foglio è ben percepibile su una copia stampata. Anche più che in una foto su Instagram. Le formule editoriali che non valorizzano questa materialità quasi “sensuale” del fumetto – del suo essere fatto di tracce, macchie e colori su carta, prima ancora che di parole – tenderanno a sparire. Viceversa vediamo già come le edizioni più imponenti, ingombranti, curate nella loro “tecnologia” – carta, spessori, trame, saturazione cromatica, formati, copertine – siano sempre più numerose, e stiano portando nuovi introiti sia agli editori che agli autori. Quelli in grado di raccogliere la sfida per davvero, però. 

In generale, a livello planetario, cosa sta succedendo nel mondo dei comics? Quali sono le macro tendenze e le cose che dall’Italia non sappiamo o non vediamo?

Da un lato edizioni monumentali; restyling d’autore, da Blake & Mortimer a Lo Sconosciuto; diverse riletture vintage (tra le mie preferite degli ultimi mesi ci sono X-Men: Grand Design di Ed Piskor e Spirou: La speranza, nonostante tutto di Emile Bravo). Dall’altro il multiculturalismo sta investendo un po’ tutto il mondo dei supereroi, mentre il mondo manga è attraversato da un’onda di eco-fiction che ha assunto le forme più diverse. All’orizzonte, inoltre, c’è lo sviluppo galoppante dei formati digitali, i cosiddetti webtoon, progettati per la lettura su smartphone tramite app. I fumetti “nativi digitali”, insomma, stanno crescendo, e iniziano ad offrire opere davvero interessanti. Problema: questo nuovo segmento è in mano a due o tre produttori sudcoreani e a un americano… Sarebbe ora che in Italia, e in Europa più in generale, qualche editore si svegliasse, se l’obiettivo è prepararsi al futuro.

Infine, ci dai dei consigli di lettura? Quali fumetti “classici” e quali novità potremmo leggere? 

In arrivo tra meno di due mesi c’è il ritorno di Manuele Fior con Celestia (Oblomov), e le pagine che ho potuto vedere fanno pensare a un nuovo, affascinante viaggio tra realtà e fantasia. Per chi volesse dei buoni thriller tesissimi e originali, consiglio due manga: Tracce di Sangue di Shuzo Oshimi (Panini Comics), un autore sempre più sorprendente, e King of Eden di Takashi Nagasaki e Ignito (Star Comics), una rilettura del terrorismo biologico in chiave geopolitica e di genere (ci sono dei licantropi). Tra i classici, finalmente possiamo rileggere le opere surreali e sfrontate di Massimo Mattioli, recentemente scomparso, come Squeak the mouse (Coconino Press) e Bazooly Gazooly (Comicon Edizioni). E se a qualcuno interessano le storie di vita personale più insolite – in questo caso ai limiti dell’incredibile – suggerisco Diario della mia scomparsa di Hideo Azuma (J-Pop Manga), un dramedy autobiografico dall’ideatore del celebre cartone animato Pollon, che si mette a nudo in uno dei fumetti dell’anno, tanto tragico quanto spassoso.