L’intolleranza, l’odio razziale, il nazismo, non devono essere dimenticati. Oggi è il giorno della memoria, che esiste per questo. Per ricordare, cioè per non dimenticare quello che abbiamo capito.
Janusz Korczak era un ebreo polacco, pediatra, educatore. Morì nel campo di sterminio di Treblinka nel 1942, insieme a 200 ragazzi del suo orfanotrofio. Fu portato via dal Piccolo Ghetto di Varsavia in un carro bestiame ad agosto del 1942, prelevato da reparti delle SS e dagli ascari (soldati ucraini e lituani) assieme a 192 bambini e dieci educatori, fra cui il suo braccio destro, Stefania Wilczynska. Fu una piccola marcia: si dice che Korczak portasse in braccio due bambini, altri fossero attorno a lui, alcuni per mano, altri tenendosi alla sua giacca. Si dice che, prima di andare al campo, marciò con i ragazzi attraverso il ghetto, facendo loro innalzare la bandiera verde della speranza.
Il pittore Marek Rudnicki, a quel tempo bambino nel ghetto, ricorda quel giorno così:
«Non voglio passare per iconoclasta, per sovversivo, ma oggi devo raccontare quello che ho visto allora. L’atmosfera era intrisa di una sorta di enorme scompiglio, automatismo, apatia. Non ci fu alcuna emozione al passaggio di Korczak. Nessuno fece il saluto militare, descritto da alcuni, di sicuro non ci fu nessun intervento da parte dello Judenrat, nessuno si avvicinò a Korczak. Non ci furono grandi gesti, canti, teste orgogliosamente erette; non ricordo che qualcuno portasse la bandiera della Casa degli Orfani, eppure dicono che ci fosse. C’era un silenzio terribile, sfiancato. Korczak trascinava un piede dietro l’altro, camminava come ingobbito, bofonchiava qualcosa fra sé e sé […]. Gli adulti della Casa degli Orfani, come Stefania Wilczynska, gli camminavano accanto, e così facevo io stesso. Nelle prime file i bambini andavano a righe di quattro, poi così come capitava, in ordine sparso, in fila indiana. Qualche bambino teneva Korczak per la giacca, o forse gli stringeva la mano. Camminavano come in trance».
Nessuno fece ritorno dal campo di Treblinka.
Isabella Borghese alcuni anni fa ha approfondito la storia del dottore del Piccolo Ghetto. Sennò c’è il libro Il ghetto di Varsavia, diario di Mary Berg, difficile da trovare ma la cui lettura vale sicuramente la pena.