Nel mondo ideale, quello in cui tutti vorremo vivere e che siamo soliti vedere nei film, il giovane laureato, dopo aver ottenuto l’ambito pezzo di carta, riesce nel giro di poco ad ottenere il lavoro per cui ha studiato e lo stile di vita che desidera ma nella realtà? Spesso l’incontro tra il mondo e i giovani non è sempre così una storia a lieto fine, sempre più spesso le aspirazioni dei neolaureati vengono spazzate via da master inconcludenti, tirocini sottopagati e senza il fine dell’assunzione.
Questa è un po’ la storia di Chiara, descritta dalla penna di Natalia Guerrieri in Sono fame. Chiara è una neolaureata in filosofia che, dopo anni di studio, non riesce a trovare lavoro in ambito accademico ed editoriale. Per trovare il lavoro giusto si trasferisce nella capitale ma, dopo ricerche inconcludenti, capisce che bisogna guardare ad altro, dopotutto l’affitto è pur sempre da pagare.
Diventa così una rondine (rider) per un’azienda il cui motto è lavorare quando si vuole, quando si è liberi, ma, in una città frenetica in cui siamo soliti ordinare qualsiasi cosa con un click e vedere molti lavori come smaterializzati, sarà davvero così?
Natalia Guerrieri non ci presenta una favola a lieto fine ma mette nero su bianco la realtà, ci porta a fare domande sulla nostra società, sulla nostra vita, sul rapporto che abbiamo con il lavoro. Le sue pagine sono lo specchio di una società contorta e danneggiata che volge sempre lo sguardo alla performance, alla produttività, senza tenere conto del singolo