Dmitry Glukhovsky andava all’università tutti i giorni usando la metropolitana di Mosca. È una metropolitana molto profonda, costruita in parte durante la Guerra fredda anche con l’intenzione di offrire un rifugio ai cittadini moscoviti in caso di guerra nucleare. E fantasticava.
Da quelle fantasie, messe su carta, anzi su web in un blog che ebbe un crescete successo, è nato prima un romanzo, Metro 2033, poi il seguito Metro 2034, Metro 2035 e poi un’intera saga, gestita professionalmente come se fosse un vero e proprio prodotto multimediale: libri scritti su licenza e ambientati nelle metro di altri paesi (da noi ci ha pensato Tullio Avoledo con Le radici del cielo), videogiochi di un certo successo, festival, un seguito infinito su Internet. Perché il ciclo di Metro, che l’editore italiano ha appena raccolto in un volume unico di più di duemila pagine, è diventato un caso letterario in tutto il mondo, Italia compresa.
La storia è semplice: una guerra nucleare tremenda ha devastato la Terra e gli ultimi abitanti di Mosca sono sopravvissuti cercando di costruire una nuova civiltà nelle profondità della vecchia rete della metropolitana. Questa presunta sicurezza, pero, sì dimostra presto ingannevole: è il tema del primo romanzo, il cui protagonista è un giovane rimasto orfano, Artyom, che deve sconfiggere la minaccia dei Tetri, gli avversari mutati e tremendi della storia horror.
Se il filone è esplicitamente quello del disaster movie: zombie, mostri e altre creature mutate, oltre alla rovina e alla cattiveria che consuma assieme al terrore la razza umana (vivere sottoterra per decenni mette in luce decisamente il peggio della natura umana), il piacere della lettura di un autore che nasce lontano dalla letteratura di genere angloamericana è grande. Il passo, le invenzioni, lo sviluppo della storia sono infatti diverse e molto meno scontate (ma altrettanto se non più gustose) di quelle di una “normale” storia di mostri come la potrebbe raccontare qualche buon artigiano della macchina per scrivere appena diplomato da una scuola di scrittura creativa di stile nordamericano. Leggere per credere.
Dietro a questo successo italiano ci sono altri due ingredienti. Al primo abbiamo già accennato: la condivisione in rete: perché l’autore ha sviluppato il romanzo ascoltando e partecipando a una community nata attorno alla sua idea che ha costantemente arricchito di suggestioni, correzioni e piccole idee la trama originale. Ne è nata una storia unica. E l’altra è l’editore italiano, la piccola Multiplayer. Casa editrice del centro Italia specializzata in libri che trattano di videogiochi guidata da Andrea Pucci, nel 2009 ha avuto l’intuizione, durante la fiera del libro di Francoforte, di prendere i diritti di quest’opera di cui si stava già lavorando all’adattamento come videogioco. Un cortocircuito al contrario per una casa editrice che ha pubblicato i romanzi tratti da famosi videogiochi. Il resto, come si dice, è storia.