Scrivere romanzi non vuol dire solo inventare storie. Si possono anche raccontare quelle che accadono attorno a noi. Un modo per farlo è quello del romanzo sociale, che soprattutto in Occidente ha avuto un ruolo molto importante nella letteratura: da Charles Dickens a Emile Zola, da Giovanni Verga a Luciano Bianciardi, passando per nomi come quelli di John Dos Passos e John Steinbeck, fino ai nostri Vittorio Sereni e Franco Fortini, Beppe Fenoglio e Paolo Volponi, e arrivando ad una delle voci più interessanti che raccontano la “modernità liquida”, cioè Andrea Bajani.
Ma ci sono molte altre voci e molte altre declinazioni dell’idea di romanzo sociale. Una è quella di Caterina Emili. Nata a Roma, laureata a Milano, una vita come giornalista per quotidiani nazionali, inviata speciale e conduttrice di trasmissioni radiofoniche. Adesso vive tra l’Umbria e la Puglia, e ha pubblicato quattro romanzi. L’ultimo, La scimmia e il caporale, è ambientato proprio in Puglia e racconta una storia dura, secca, di caporalato, usando una lingua altrettanto secca e diretta, che evita aggettivi inutili o fraseggi ricercati. Protagonista è sempre Vittore Guerrieri, che indagava su delitti già nei romanzi precedenti. L’abbiamo incontrata per chiederle un po’ di cose su cosa scrive e perché.
Caterina, prima giornalista ora autrice: cosa ha significato passare dal racconto di quel che vedi succedere attorno a te al racconto di storie che invece crei?
C’è una grande, sola differenza: che puoi scegliere il finale. Troppe volte, in tanti anni di giornalismo, ho raccontato storie amare, dove i colpevoli se la cavavano sempre e dove le vittime non trovavano mai giustizia. Nel racconto decidi tu i contrappesi. E ti togli un mucchio di soddisfazioni, lo ammetto.
Il tuo ultimo romanzo è un noir ma si collega alla tradizione del romanzo sociale, che in Italia ha una lunga storia. Come hai scelto il soggetto di La scimmia e il caporale? Come ti sei documentata?
Vivo cinque mesi l’anno in Puglia, esattamente a Ceglie Messapica, nella Valle d’Itria. Ho scritto altri quattro romanzi che si dipanano tra Puglia ed Europa, tra nord e sud Italia, come si dipanano le vite di molti immigrati. E quella del caporalato è la condanna di chi non parte, di molti braccianti, uomini e donne costrette ad accettare paghe da fame, orari disumani. Ogni anno qualcuno o qualcuna muore per il caldo, per la fatica, per incidenti stradali su pulmini stracolmi, vecchi e malandati. Come potevo non vedere, come potevo non dare il mio modestissimo contributo?
Quanto c’è voluto per scriverla?
Diciamo una parte abbastanza lunga per non scrivere scemenze, per fornire dati, luoghi, intercettazioni telefoniche, notizie giudiziarie vere e attendibili. E poi una parte più facile, una parte che per ora mi scorre fluida e veloce, che è la parte romanzata. Citando Eduardo De Filippo, io non scrivo storie verosimili, ma vere e simili.
Dopo una carriera come giornalista, sei diventata autrice. Quali difficoltà hai incontrato a “cambiare mestiere”? E quali cose ti sono venute più facili?
La difficoltà più grande è stata accettare me stessa come scrittrice. Ho compiuto da poco settant’anni e ho scritto il mio primo romanzo a sessanta. Perché? Perché per anni mi sono occupata della pagina dei libri del mio giornale, mi pagavano perché intervistassi persone eccezionali, scrittori sublimi. Non sapevano che avrei pagato io per farlo. E come fai, dopo aver recensito grandi scrittori a metterti tu a scrivere un libro?
Cosa temevi?
Ho avuto per anni paura di essere ridicola. Mi sono limitata a essere autrice di programmi radiofonici, questo mi è sempre molto piaciuto. Ma oltre il mio senso del ridicolo non mi spingeva. E poi è successo, ho scritto e ho scoperto che è un gran bel mestiere e che non sfiguro tra i tanti colleghi. Ho scoperto che non faccio fatica, che posso lavorare ore ed ore ogni giorno.
Consigli per giovani scrittori che vogliono accreditarsi nel mercato editoriale: self publishing, un editore vero o cos’altro?
Attenti all’editoria a pagamento, quella che non a caso gli inglesi chiamano “vanity press”. Meglio passare per un editore, meglio saper accettare i no e ricominciare daccapo, fino a che qualcuno non ti dice sì. Le scorciatoie sono illusorie.
Come autrice e come lettrice quali sono i tuoi riferimenti? Quali libri ami di più?
Dopo aver divorato tutto, adesso leggo pochissimi romanzi. La mia passione sono i manuali. Di qualunque genere. Mi confortano, mi rassicurano perché alla fine tutto va sempre per il verso giusto.
Il tuo prossimo romanzo?
Sto lavorando sodo, ho quasi finito. Ne sono assai contenta. Il che vuol dire che farò fatica a liberarmene. Ma non voglio assolutamente dire di più. In fondo resto una scrittrice di noir, perdonatemi dunque.