La matematica è politica, perché no?

Chiara Valerio lo dice senza problemi: “Aver studiato matematica e lavorare in un ambiente letterario e culturale che ritiene, come quasi il resto del mondo, la matematica una disciplina per illuminati, predisposti e geni, mi ha facilitato la vita”. Valerio infatti non ha mai dovuto dimostrare, come molte altre donne nello stesso ambiente “di essere intelligente”. E aggiunge: “A me, è stato risparmiato”. Ma aver studiato matematica per “tredici lunghi anni” serve anche ad altro.

La matematica, argomenta Valerio, è democrazia. La matematica è un linguaggio basato su un insieme di regole condivise, crea una comunità (le persone che condividono quelle regole) e lavora sulle relazioni. Tutti possono rimettere in discussione le regole ma in maniera sensata e condivisa. La prassi politica del nostro tempo avrebbe bisogno di questo, certamente, ma anche molta della vita quotidiana.

Nel suo breve saggio La matematica è politica Chiara Valerio riesce a mettere in fila una serie di idee che potrebbero far storcere il naso a molti e che certamente oggi non sono maggioritarie ma che hanno un pregio: sono costruite in maniera logica e non subiscono la dittatura dell’urgenza. I matematici, come i musicisti o gli artisti, non sono geni inarrivabili che giustificano la mancanza di applicazione e la ricerca di gratificazioni immediate di tutti gli altri. Invece, alla matematica come a qualsiasi altra cosa si arriva con intenzione e con fatica. “Il mio essere donna è stato dunque tollerato grazie ad alcuni anni passati ad appiattirmi le terga in una biblioteca, studiando la matematica”, dice lei in conclusione. 

Tuttavia, ricordiamo che non solo l’essere donna è in gioco: la matematica nella nostra scuola, dice Valerio, si studia fuori dal tempo e dallo spazio e invece dovrebbe essere metodo e linguaggio storicizzato, criticato e condiviso. Perché sono barriere artificiali quelle che la mettono in un empireo lontano dal resto. Soprattutto in Italia, dove ha vinto un modello educativo voluto da Benedetto Croce e Giovanni Gentile (quello della riforma del 1923), fortemente riduttivo per la matematica e la fisica (oltretutto accorpate) rispetto a quello che pensato da Federigo Enriques (il matematico), secondo il quale la cultura avrebbe dovuto allargarsi a comprendere anche la scienza e il linguaggio della scienza (cioè la matematica). La storia però è andata diversamente, come sappiamo. 

Adesso che la pandemia ci ha portato in un mondo diverso, con classi di problemi appartenenti a insiemi diversi, è il momento di trovare soluzioni differenti. Anche per la matematica.