C’è un libro che sta diventando un long-seller con il passaparola. Pubblicato da Baldini+Castoldi, si intitola Molte aquile ho visto in volo ed è stato scritto da Filippo Nassetti. Ma è qualcosa di più che non un semplice libro che racconta le storie di alcuni piloti di linea. Molte aquile è anche un atto d’amore di un fratello per il proprio fratello pilota scomparso tragicamente in un incidente aereo avvenuto nella base di Airbus, il produttore europeo di aerei di linea. Ed è anche la scoperta delle vite e dei modi e motivi per i quali si diventa piloti di linea.
Quella del pilota non è forse più la professione romantica che era idealizzata dal marketing della Pan Am subito prima della Seconda guerra mondiale e poi diventata uno dei simboli del nostro Paese nel dopoguerra con i voli di Alitalia in tutto il mondo, che riunivano le comunità italiane emigrate tra l’Ottocento e la prima metà del Novecento con ma madrepatria e che facevano scoprire al nostro nascente jet-set le lunghe distanze e le mete esotiche: le Americhe, l’Asia, il Medio Oriente e l’Asia. Tuttavia, gli uomini e le donne che ancora oggi vogliono fare i piloti scelgono di perseguire una professione dura, complessa, di grande responsabilità (sia personale che per chi vola con loro come equipaggio di cabina che passeggeri) e al tempo stesso bellissima e inarrivabile.
Pilotare vuol dire seguire un sogno, innanzitutto. Non si diventa piloti di linea per errore, ma lo si desidera con tutte le proprie forze. E ci sono storie di donne e di uomini incredibili, nella loro normalità eccezionale, che Nassetti racconta in maniera invidiabile. Piano piano, sulla punta delle labbra di tanti lettori amanti del volo o delle storie belle e a volte tristi, si scopre uno spicchio di umanità leggendo questo libro.