Internet, la rete delle reti, è nata come reazione al predominio tecnologico sovietico degli anni Cinquanta. Il minaccioso bip-bip dello Sputnik, proveniente dallo spazio, ha fatto capire agli americani che i sovietici avevano la capacità di lanciare oggetti in orbita, facendogli temere che questi potessero diventare missili balistici intercontinentali con testate atomiche. La reazione fu ampia, e uno dei sottoprodotti è stata la creazione di Darpanet, poi Arpanet e infine Internet.
Ma accanto a questa storia tutta fatta da Marte, costruita attorno al mito che Internet venne pensata per resistere a un attacco nucleare (no, venne invece pensata per resistere all’inaffidabilità delle reti di trasmissione terrestri del tempo), ce n’è un’altra fatta da Minerva, che racconta il ruolo, l’intelligenza e la forza della donne che hanno costruito Internet.
Broad Band, da noi appena tradotto con Connessione, è il libro di Claire L. Evans che racconta le storie mai raccontate prima delle donne che hanno creato internet. La storia della tecnologia, fatta di uomini e macchine, garage e startup al maschile create da nerd bianchi è in parte anche questo: una storia, anzi parzialmente una fantasia. E il lavoro della giornalista (Vice, Motherboard, Wired, The Guardian) e musicista americana Evans ha potuto ricostruire le vicende di molte donne il cui contributo è stato fondamentale ma che la storia al maschile ha cercato di cancellare: ad esempio di Elizabeth “Jake” Feinler e Stacy Horn, più molte altre che hanno creato il terreno sul quale Internet ha potuto consolidarsi e andare avanti.
Donne visionarie e donne estremamente capaci ce ne sono sempre state anche e non solo nell’informatica, a partire da Ada Lovelace e Grace Hopper. Il libro di Evans riempie alcuni degli spazi vuoti della storia scritta al maschile, aprendo a una diversità di punti di vista e di contributi.