Quante pellicole ispirate ai libri conosciamo? Bastano pochi secondi per averne almeno una decina in mente. Appena leggiamo tra i titoli iniziali di un film o di una serie “tratto da”, la domanda sorge spontanea “sarà meglio il libro o il film?”. Alcuni adattamenti seguono con fedeltà lo sviluppo letterario, e in questo caso è sicuramente più semplice esprimere un giudizio, ma altri si fondano su una libera interpretazione del regista, in questo caso la domanda ha poco senso e la risposta è quasi impossibile.
Un esempio? Jojo Rabbit di Taika Waititi “liberamente” tratto da Il cielo in gabbia di Christine Leunens.
Nell’adattamento cinematografico il regista segue sì la struttura del libro ma ne modifica in parte trama e toni. La pellicola è irriverente e coraggiosa e il libro è solo il punto di partenza per scatenare l’estro del regista.
Partiamo dal personaggio principale: nel libro Johannes vive in Austria con madre, padre e nonna. Con l’annessione dell’Austria alla Germania la sua vita cambia. Il giovane si lascia influenzare dall’ideologia nazista e dalla figura di Adolf Hitler e ne diventa letteralmente un fanatico. Entra nella Gioventù Hitleriana e rimane sfregiato dopo un raid aereo. Chiuso in casa dopo l’incidente, scopre che diversamente da lui la sua famiglia è fortemente contraria all’ideologia nazista: al punto da nascondere in soffitta una ragazza ebrea. A questo punto il suo personaggio ha una forte evoluzione emotiva. Il suo odio iniziale si trasforma in curiosità, per passare ad amore ed infine sfocia in ossessione. Alla fine della guerra, rimasto ormai senza genitori, Johannes fa una scelta discutibile e sicuramente inquietante: mente a Elsa, la ragazza ebrea sull’esito del conflitto e continua a tenerla nascosta.
Jojo, trasposizione cinematografica di Johannes, è invece un bambino di 10 anni che vive in Austria con sua mamma. La storia iniziale è simile. Jojo è un fanatico ed è accompagnato ovunque da un amico immaginario, il “suo” Adolf Hitler, di conseguenza la guerra e l’ideologia sono visti con gli occhi di un bambino. Partecipando alle esercitazione della Gioventù Hitleriana si ferisce e, costretto a passare più tempo a casa, scopre che sua mamma sta nascondendo Elsa. Jojo è un bambino insicuro che deve identificarsi con qualcosa di più grande di lui e subisce nel corso del film una profonda crescita, un po’ come in un romanzo di formazione, fino ad arrivare alla fine dove dismette l’uniforme e si libera del suo amico immaginario. Il finale è però diverso, Jojo mente in fase iniziale sull’esito della guerra ma poi ammette la realtà e libera Elsa.
Se il libro utilizza dei toni più cupi, il film sfrutta l’ironia. Tutto viene visto con gli occhi di un bambino di dieci anni quindi abbiamo amici immaginari e mostri. L’ironia non sfocia però in una banalizzazione del male, è come se la risata potesse restituire umanità.
Pensiamo alla figura di Hitler. Nel film Hitler compare in chiave del tutto ironica e sempre come amico immaginario di Jojo, nel libro invece è nella testa di Johannes. Ma pensiamoci bene, il regista come avrebbe potuto rappresentare i pensieri di Jojo se non con l’aiuto di un amico immaginario che ben si adatta ad una visione più infantile del mondo?
Anche l’arco temporale è diverso, il libro tocca diversi anni, mentre il film si sviluppa in meno tempo e Jojo resta sempre un bambino.
Bisogna dire che questo è a sua volta una specie di adattamento letterario perché era stato applicato anche da Christine Leunens che per scrivere il libro si è ispirata alla storia di una donna francese la quale, con la sua famiglia, durante la guerra ha dato rifugio ad un ebreo polacco di cui si è innamorata. La scrittrice ha invertito i ruoli e ha cercato di capire come un ragazzo austriaco, fortemente condizionato da una propaganda nazista, avrebbe potuto comportarsi in una situazione simile.
Dunque, nel caso di Jojo Rabbit ha davvero senso chiedersi “meglio il film o il libro?”