Mode, manie, tendenze, disattenzioni. Anche invidie e talvolta ideologie. Ci sono molti motivi per cui un autore può cadere nel dimenticatoio, tra cui anche quella più banale ma probabile: nessuno si ricorda più di lui.
Questo è il destino che a quanto pare è capitato a Vittorio G. Rossi, nato a Santa Margherita Ligure l’8 gennaio 1898 (esattamente 122 anni fa) e ufficiale di marina prima e giornalista di spicco poi: fu inviato speciale del Corriere della Sera e di Epoca, raccontò i fatti di mezzo mondo, documentando con i suoi articoli e poi i suoi romanzi le storie di uomini e donne tra Senegal e Andalusia, Camerun e Amazzonia, Cina e Giava, Capo Kennedy e Antartide. Era stato capitano di lungo corso (si imbarcò giovanissimo su un un vecchio tramp subito dopo il diploma all’Istituto Nautico di Camogli) e amante dei viaggi, studioso della natura umana, ma non fu mai – e questo forse è il suo peccato originale – un autore “sociale” o “psicologico”. Il suo scrivere non era quello.
Vittorio G. Rossi amava l’avventura e di quella scriveva: uomini e donne che raccontava con intensità, da buon “colorista e viaggiatore di buon umore”, secondo la frecciata che gli tirò il critico Piero Pancrazi. Eppure, la sua è la stessa linea di scrittura di Hemingway e di Conrad e di tutti gli autori di matrice non latina, con poche eccezioni (Emilio Salgari, che è stato rinchiuso dalla critica nella prigione dell’avventura per ragazzi, senza spessore culturale come ad esempio nel dopoguerra fu per Italo Calvino).
Perché dunque non viene più ristampato? C’entra sicuramente il fatto di aver vissuto la sua maturità professionale durante il Ventennio fascista (firmò il “Manifesto degli intellettuali fascisti” come tra gli altri Malaparte, Ungaretti, Marinetti, D’Annunzio, Pirandello, Soffici) ma c’è di più. Anche perché Rossi, che è scomparso il 4 gennaio del 1978, continuò a lavorare e a scrivere anche dopo la guerra.
A penalizzarlo è stata anche la prospettiva avventurosa, la ricerca portata avanti con i suoi scritti sul rapporto tra uomo e natura (quella stessa per cui leggiamo i classici americani degli anni Trenta e Quaranta), la prosa audace, coraggiosa, potente. Fu uno scrittore di talento e di razza, le sue pagine sono forti, drammatiche, alcune sembrano incise nella pietra. Molto lontane dalla visione ideologica e dal disincanto postmoderno del secondo Dopoguerra.
È un peccato: Vittorio G. Rossi sarebbe da recuperare, da ristampare, da riproporre almeno in digitale. Invece, per chi voglia avventurarsi nella scoperta di un autore perduto, bisogna ricercarlo sulle bancarelle dell’usato o su eBay. Se volete prendere andare a scoprire questo autore oggi colpevolmente dimenticato consigliamo di leggere Oceano, che vinse il premio Viareggio nel 1938 ed è un gran romanzo, frammentato nella narrazione e potente nelle immagini e nelle suggestioni.