Quando Ombretta Colli, cantante, attrice e soprattutto, per una generazione di sognatori, moglie di Giorgio Gaber, decise di entrare in politica e divenne prima deputato, poi assessore a Milano, quindi presidente della Provincia di Milano e infine senatrice sempre per Forza Italia, venne fortemente criticata. Anzi, attaccata come se il suo nome, il suo corpo e la sua stessa identità non le appartenessero e dovessero per sempre rimanere congelati nel ricordo di Gaber e di quello che Gaber ha rappresentato per la cultura italiana.
È una storia vecchia, per fortuna superata, ma è anche una premessa per raccontare la complessità della personalità della genovese Colli e degli anni passati accanto al milanesissimo e molto di sinistra Giorgio Gaber, scomparso a Montemagno di Camaiore il primo gennaio del 2003, quando la storia politica di Colli era già avviata da tempo, dopo che entrambi hanno attraversato il dopoguerra italiano lasciando due segni diversi ma profondi, e costruito la loro vita comuni con delle premesse alquanto singolari.
Gaber era di famiglia borghese, nato in via Londonio subito dietro a Corso Sempione e alla zona chic del napoleonico Arco della Pace. Di origini triestine e venete, Gaber (che in realtà si chiamava Gaberščik) è stato il cantautore, commediografo, attore, cabarettista, chitarrista e regista teatrale italiano tra i più influenti dello spettacolo e della musica italiana del secondo dopoguerra. Il signor G. ha avuto una vita estremamente ricca, ha inventato il teatro canzone, inciso 26 album, è stato anche un chitarrista di valore (anche se non molti lo ricordano) soprattutto negli esordi del rock & roll italiano alla fine degli anni Cinquanta.
Tutto questo però è solo una parte della narrazione che Ombretta Colli fa di Gaber. Il suo libro, Chiedimi chi era Gaber, scritto con Paolo Dal Bon, è il racconto di una coppia nata da un incontro fortuito, passa attraverso un matrimonio, una figlia, due carriere a tratti distanti e che a tratti si incrociano e le vite di due persone profondamente diverse che invece hanno saputo bilanciarsi e trovare un loro punto di equilibrio originale, durato sino alla fine.
«Ci rivedemmo a una di quelle feste mondane tipiche della capitale, nell’attico di un noto produttore cinematografico… Quando mi accorsi della presenza di Giorgio Gaber tra gli ospiti non potei fare a meno di chiedermi cosa ci facesse un uomo come lui in un ambiente simile: io, per quanto poco entusiasta, mi trovavo perfettamente a mio agio, mentre lui sembrava del tutto in difficoltà. Era sospeso tra la timidezza e un atteggiamento di sufficienza: scambiava poche parole coi presenti, dispensava sorrisi incerti, fumava sempre moltissimo e, ne sono sicura, avrebbe pagato per essere trasformato in un elemento dell’arredo».